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09 giugno 2002
 
Io me lo ricordo quando cominciarono ad arrivare.
Fino a quel momento c'erano state soltanto voci di un grande esodo, di gente che abbandonava la sua terra per cercare lavoro e accoglienza. Si diceva che dalle città sarebbero presto giunti anche quaggiù in campagna.
Poi cominciarono ad arrivare davvero.
Erano diversi da noi nell'aspetto, nelle abitudini, nel modo di vestire e di parlare. Ricordo la prima volta che vidi passare una delle loro donne: intabarrata, un cesto enorme in equilibrio sulla testa, i fianchi larghi che dondolavano maestosamente ad ogni passo.
Ricordo la difficoltà di capirli, di abituare l'orecchio a suoni così diversi. Ce n'è uno che ancora oggi comprendo a fatica, quando l'incontro; però mi piace il modo solenne e antico che ha di stringere la mano: immagino che ci si saluti così tra viandanti nel deserto.

All'inizio c'erano diffidenza e pregiudizio verso i nuovi venuti. Si diceva che ci avrebbero rubato il lavoro e portato la delinquenza, che erano sporchi, fannulloni, violenti. Poi si è capito che erano persone come noi, buone e cattive, simpatiche e insopportabili.
Adesso ce ne sono tantissimi che lavorano nei nostri cantieri e non facciamo più caso a quei nomi che un tempo suonavano tanto strani: Santuzzo, Peppe, Calogero, Gavino....
Era già successo, succederà ancora.




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